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La giustizia che si vede


Il diritto è il riconoscimento pubblico che previene e difende gli individui dall’umiliazione nella loro dignità e valore personale. Il riconoscimento giuridico stabilisce e garantisce che ogni soggetto umano abbia valore, senza distinzioni e gerarchie, come fine in sé. In virtù del diritto, ogni persona può sapersi riconosciuta in una relazione reciproca in cui ognuno si considera dal punto di vista dell’Altro, come portatore di uguale diritto. Quando ciò non avviene, si creano le condizioni dell’esclusione e della privazione dei diritti. Uguaglianza dei diritti e pari distribuzione dei beni devono in modo visibile avvicinarsi. La giustizia, infatti, ha bisogno di essere vista per essere creduta. L’identità è la visione che una persona ha di quello che è, delle caratteristiche fondamentali che la definiscono unica e originale. Essa è plasmata, almeno in parte, dal riconoscimento altrui. Una persona può subire un danno reale, un vero svantaggio, se gli individui o la società che la circondano, rimandano un’immagine che la limitano, sminuiscono o umiliano.
Ogni individuo è persona, e questa verità si rende visibile nella pratica del riconoscimento pubblico .
Il diritto ha sempre vissuto della visibilità: ha i suoi riti, le sue icone e i suoi cerimoniali. Altrettanto deve avvenire per la pratica della giustizia.
La giustizia che vuole essere vista è quella che ama raccontarsi. La democrazia ha fatto spazio alla richiesta di parità delle culture e dei generi, cercando di mettere in discussione le gerarchie sociali, costruite sul codice dell’onore. Sotto la pressione della lotta per i diritti, sostenuta da grandi movimenti sociali di solidarietà, i diritti soggettivi hanno assunto proporzioni sempre maggiori, creando nuove esigenze e domande di riconoscimento. I diritti individuali liberali si sono estesi ai diritti di partecipazione politica, fino agli attuali diritti al benessere individuale.
Dalla crisi mondiale del 2008, emblema e drammatico epilogo dei limiti del sistema capitalistico, emergono i primi segnali di un nuovo sistema economico che presuppone un nuovo immaginario dalla giustizia. La nuova economia nasce dalle possibilità aperte dalla tecnologia, ma non segue la direzione neoliberista. Si è aperta un’economia di transizione, dove permane il mercato capitalistico affiancato da una nuova esperienza di economia indicati con nomi diversi: “Commons collaborativo” (J. Rifkin), ”Economia contributiva” (B. Stiegler), “Società circolare” (A. Bonomi). La nuova direzione, animata dalla gift economy, prefigura una società e una giustizia orientate alla cooperazione e alla contribuzione. Il consumatore maturo è capace di scegliere i suoi prodotti in un mercato dove la produzione è in eccedenza (le tecnologie permettono di produrre oggetti in quantità sovrabbondante, attraverso la stampa 3D, per esempio) e dove i criteri che contano riguardano la qualità della vita, la salute, la sostenibilità, la giustizia e l’affidabilità.





L’Italia ha bisogno di un progetto comune, che smascheri avidità e azzardo e non li trasformati in virtù, ricordando che i danni della corruzione privata non sono meno gravi di quelli della pubblica. Bolle finanziarie, disoccupazione, crisi della distribuzione delle risorse, modificazioni del clima, crisi energetica, fame, caduta dei valori, crisi della democrazia sono fenomeni correlati. Sono sintomi di una profonda crisi del sistema. È questione di dignità umana, di cittadinanza attiva, di democrazia economica Questi valori si sintetizzano e trovano unità nell’economia della speranza e nel suo quotidiano tentativo di una pratica della giustizia più ecologica, sociale, resiliente.


Questa scheda  è stata redatta da: Domenico Cravero   in data  25/11/2018


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